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Il cinema e la storia: tra spettacolo e distorsione
Il cinema e la storia – Due recenti pellicole hanno riacceso il dibattito sulla rappresentazione cinematografica della storia italiana. Il primo film, “M. Il figlio del secolo” , tratto dal romanzo di Antonio Scurati , racconta l’ascesa di Benito Mussolini , ma con una narrazione che lo dipinge come un individuo dominato da ambizioni personali e pulsioni primitive, piuttosto che come l ‘artefice di una dittatura di massa che per un certo periodo trovò consenso anche oltre i confini nazionali. Il secondo film, incentrato sulla spedizione dei Mille, adotta invece il classico stile della commedia italiana, riducendo l’epopea risorgimentale a un racconto di cialtroneria e opportunismo individuale.
Secondo il politologo Alessandro Campi , che ha analizzato il tema sulle colonne de Il Messaggero , entrambe le opere confermano una tendenza diffusa nel cinema italiano: la difficoltà a trattare la storia con un registro narrativo epico o semplicemente fedele alla complessità dei fatti. Mussolini viene descritto come una figura grottesca e malvagia, cancellando così il contesto sociale e politico che ne ha favorito l’ascesa. Una rappresentazione che, seppur con intenti antifascisti, finisce paradossalmente per sollevare gli italiani dalla responsabilità di aver creduto nel regime.
Campi sottolinea come il fascismo non sia stato un fenomeno estraneo alla storia politica italiana, ma un'”eresia della sinistra”, nata anche dall’incapacità della classe dirigente di allora – liberale e socialista – di comprendere i cambiamenti prodotti dalla Prima guerra mondiale . La borghesia ei benpensanti, impauriti dal radicalismo dei socialisti, ei reduci di guerra, ignorati o disprezzati, trovarono nel fascismo una risposta alle proprie frustrazioni, contribuendo alla nascita di un regime dittatoriale di massa.
Il cinema, osserva Campi, preferisce raccontare il passato italiano attraverso il filtro della commedia o della caricatura. Questo è evidente anche nel film sulla spedizione dei Mille, in cui la solennità della storia si dissolve nella rappresentazione di personaggi mossi esclusivamente dal proprio tornaconto personale. Si tratta di una tradizione narrativa che affonda le radici nella letteratura e nella cinematografia italiana, ma che rischia di trasformare la memoria storica in una macchietta, semplificando e distorcendo fatti ed eventi.
Il problema principale, secondo Campi, è che il cinema storico, per sua natura, risponde più alle logiche di mercato e ai gusti del pubblico che alla fedeltà ai fatti. Lazzazione spettacolare porta inevitabilmente a enfatizzare alcuni aspetti ea ometterne altri, con il rischio di generare una percezione falsata del passato. Non si può pretendere dai registi di svolgere un ruolo di educatori, ma è necessario interrogarsi su quali strumenti possano garantire una comprensione più autentica della storia.
A questo proposito, Campi richiama il ruolo fondamentale della scuola e della formazione accademica, in un contesto in cui la conoscenza storica sembra sempre più marginalizzata. La proposta del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di dare maggiore spazio alla storia italiana nei programmi scolastici ha sollevato critiche da parte di alcuni ambienti intellettuali, che l’hanno giudicata un’operazione nazionalista e passatista. Secondo questa visione, la storia dovrebbe essere affrontata in una prospettiva globale, privilegiando l’apertura multiculturale rispetto all’approfondimento della dimensione nazionale.
Campi contesta questa posizione, definendola una visione astratta e poco realistica. A suo avviso, la comprensione del globale passa attraverso una solida conoscenza del proprio passato, senza la quale si rischia di appiattire le differenze e di perdere ogni riferimento identitario. La storia, ribadisce, non deve essere accettata acriticamente, ma nemmeno cancellata o riscritta per adattarsi alle sensibilità contemporanee.
Infine, il politologo osserva come, a livello internazionale, la consapevolezza del proprio passato sia ancora considerata essenziale per la costruzione di un’identità collettiva. In molti Paesi la storia è valorizzata come fondamento della coscienza nazionale, mentre in Italia si assiste spesso a un atteggiamento di rifiuto o di riscrittura ideologica. Il rischio è che, senza un’adeguata conoscenza delle proprie radici, si finisca per considerare la storia solo come un pretesto per polemiche politiche o, peggio, come un semplice genere cinematografico privo di valore educativo.
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