Il Perugia e la malattia oscura che lo frena ecco un consiglio non tecnico, per “guarirlo”

Il Perugia e la malattia oscura che lo frena ecco un consiglio non tecnico, per “guarirlo”

Il Perugia e la malattia oscura che lo frena ecco un consiglio non tecnico, per “guarirlo”

di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA – Qual é il “male oscuro” che attanaglia, dall’avvio di stagione, i biancorossi capaci, alternativamente, di volare in alto e poi di precipitare in picchiata (o quasi, considerando che, al momento, la squadra resta nella griglia dei play off)? Nessuno, almeno ufficialmente, riesce a mettere sul piatto una spiegazione convincente.
Ora é Massimiliano Santopadre a scendere in campo.

Letteralmente. Forte del proverbio che “l’occhio del padrone ingrassa il cavallo”, sta seguendo di persona e dal bordo del terreno di gioco gli allenamenti, magari per intervenire nel caso che qualcuno dei suoi, con la testa o con le gambe, lavorasse al risparmio o senza convinzione.
Siamo sicuri, tuttavia che si possano ottenere risultati giusti con la politica, tutto sommato banale, della “carota e del bastone”?

O con quella dei due poliziotti, uno dei quali mette la maschera del cattivo e l’altro si camuffa da amico?

Quello che, probabilmente, manca ai giocatori é la coscienza di dove siano venuti a prestare la loro opera di calciatori. Perché, sapendolo, darebbero sicuramente di più: o per innamoramento o per rispetto. E come si potrebbe riuscire a sollecitare il loro affetto o comunque la loro considerazione? Farli entrare, al loro arrivo, nel Museo del Grifo risulta un’ottima iniziativa, ma non pienamente concludente: é solo una parte di un tutto molto più ricco e complesso.

Bisognerebbe – ecco il consiglio “gratis et amore Dei” alla dirigenza – che la società programmasse delle visite, per i giocatori e pure per le loro famiglie, con l’assistenza di guide professionali (ce ne sono di molto brave e preparate) ai maggiori monumenti cittadini (dentro e fuori), alla Fontana Maggiore (non per uno sguardo fuggevole, ma con approfondita illustrazione), ai palazzi, alle basiliche (San Pietro e San Domenico), alle chiese (a cominciare dalla cattedrale, da Sant’Ercolano, dal tempio paleocristiano di Porta Sant’Angelo), al Collegio del Cambio e alla Sapienza, al pozzo etrusco, ai monasteri, ai conventi, agli oratori, alle possenti mura sotto San Lorenzo, alla Galleria Nazionale (per la pittura), al Manu (per l’archeologia), in cima alla Torre degli Sciri e in via della Gabbia (per far conoscere, al colto e all’inclita, dove venivano esposti i reprobi al ludibrio). Una “full immersion”, insomma: non serve dilungarsi oltre.

Solo in questo modo i calciatori potrebbero comprendere di essere approdati in una realtà con oltre 2.600 anni di storia e, per questo, profondamente diversa dalle altre città di serie B e di molte di A.

Se per limiti personali (molti giocatori e persino allenatori, passati per il capoluogo umbro, menavano vanto di non leggere libri) non si innamorassero comunque di Perugia o non nutrissero un minimo di rispetto per un centro che ha fornito alla storia d’Italia personalità di grandissimo spessore in tutti i campi delle arti, nel mestiere delle armi, nelle esplorazioni, nella religione, nella scienza, almeno un pizzico, una scintilla di pura ammirazione dovrebbe sprigionarsi dalle loro menti e dai loro cuori.

E anche questa, l’ammirazione dico – se non si ottiene l’amore o il rispetto – dovrebbe essere sufficiente a spingerli a dare, sull’erba dei campi di gioco, quel “quid pluris” che tutti si attendono. Se riusciranno nell’impresa, tanto meglio per tutti; se, invece, dovessero “toppare” pure dopo questo “esperimento”, avrebbero quanto meno imparato qualcosa.

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