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Aids Anlaids, non aspettatevi il vaccino ma il virus ora si controlla
L’Aids uccide ancora? “Uccide ormai fortunatamente poco, ma uccide. Dipende se parliamo di Paesi industrializzati o in via di sviluppo. Al mondo ci sono 10 milioni di persone che non hanno accesso ai farmaci il che significa che l’Aids fa ancora un milione di morti all’anno. Da anni. In particolare nell’Africa subsahariana, dove l’incidenza dell’infezione è altissima”. Così Andrea Gori, infettivologo, primario al Policlinico di Milano e presidente di Anlaids, l’associazione che si batte contro l’Aids, in un’intervista a ‘La Stampa’.
“In Italia siamo messi relativamente bene: il nostro Paese ha un sistema di rete tale nei reparti di malattie infettive che consente di avere successi di terapia tra i più alti al mondo – aggiunge Gori – Soprattutto se ci confrontiamo con i dati americani, dove con un sistema organizzato attraverso le assicurazioni, molte persone accedono con fatica alle cure”. La differenza, insomma, è sempre tra ricchi e poveri? “Purtroppo è così, direi più tra sistemi: il nostro è certamente uno dei più avanzati e democratici”, risponde Gori.
Ma chi si infetta oggi di Hiv che speranze di sopravvivenza ha? “Abbastanza alte. Stiamo attendendo farmaci nuovissimi che dovrebbero spostare l’asticella ancora più in là – avverte – Per capire, basti dire che attualmente disponiamo di farmaci che possono portare il livello di controllo dell’infezione a un successo pari al 95-98%: dati quasi incredibili se pensiamo come era iniziata”. Cosa significa? “Che ormai siamo in grado di controllare perfettamente la replicazione del virus e la malattia”, precisa. Quindi possiamo cantare vittoria? “Per niente. Il problema è proprio che non riusciamo a eradicare il virus, anzi ne siamo ancora abbastanza lontani”.
Ci sarà mai un vaccino come per il Covid? “Probabilmente no, rispetto al Coronavirus, che è molto stabile, l’Hiv si replica milioni di volte in più, con milioni di varianti. Trovare un vaccino è un’impresa disperata”, chiosa Gori. E quindi? “«Quindi bisogna ancora stare molto attenti. Chi si infetta, se smette di prendere i farmaci anche solo per una settimana, vede gli effetti del virus ripartire e sono guai”, rimarca.
Si finisce per essere condizionati tutta la vita? “Sì, bisogna sapere che ci si infetta per tutta la vita: assumere una terapia per sempre, sottoporsi a controlli continui, gestire gli effetti collaterali dei farmaci. Si diventa un po’ meno liberi. La differenza con prima – ricorda – però, è che si può condurre una vita quasi normale, che dopo un po’ la trasmissibilità si azzera e che i figli di sieropositive nascono sani. Questo è un grandissimo passo avanti. Il punto è che non sappiamo ancora quali saranno gli effetti collaterali a lungo termine di questi farmaci. Per ora abbiamo dati sui 20-25 anni. Tra 20 anni ne sapremo di più”.
Meglio non abbassare la guardia? “Guai. Spesso i giovani dicono: ma sì, tanto ormai non si muore più, tanto si cura. Alcuni però arrivano da noi e non sanno nemmeno più cos’è l’Hiv. Il che testimonia il grado di ignoranza che circola su questa malattia. Invece convivere con l’Hiv genera problemi clinici e sociali”, avverte Gori. Per esempio? “Lo stigma, che è l’effetto collaterale peggiore dell’Aids. Una delle cose che facciamo come Anlaids è insegnare alle persone sieronegative come accettare i sieropositivi, avendo consapevolezza che ormai anche loro possono avere una vita assolutamente normale”, conclude.
(Red/Adnkronos Salute)
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