Sisma centro Italia, Claudio Ricci, risorse aggiuntive nel terzo decreto PERUGIA –
Risorse “aggiuntive” (2017) per il sisma del centro Italia (e Umbria): nel “terzo decreto” solo 56 milioni di euro. Sarebbero necessari, in 5/10 anni, almeno 23 miliardi per ricostruire.
Stime recenti “ufficiali”, elaborate nel mese di febbraio 2017, indicano in circa 23 miliardi di euro le risorse necessarie per le fasi di emergenza e ricostruzione, dopo il grave sisma del 2016/17 (per il Centro Italia, inclusa l’Umbria), non includendo le risorse per i danni “indiretti” e le fasi di sviluppo post sisma.
Stando alle citazioni del Governo italiano le “reali disponibilità” (per cassa), relative all’anno finanziario 2017, erano valutabili (come “nuove risorse”) da “diverse centinaia di milioni di euro” sino a circa “un miliardo di euro” (dichiarazioni ufficiali).
In realtà il “terzo decreto terremoto”, datato 9 febbraio 2017 (n. 4286), include una “bollinatura” della ragioneria generale dello Stato pari a 56 Milioni di euro, per l’anno finanziario 2017, molto inferire a quanto “citato” e soprattutto a quanto necessario.
Si chiede al Consiglio Regionale e alla Giunta (in una “mozione” presentata) di “chiarire”, chiedendo informazioni al Governo italiano e alla ragioneria generale dello Stato, quante risorse “reali” (cassa) sono disponibili per l’anno 2016 e 2017.
Inoltre si propone un raccordo, con le altre Assemblee Legislative delle regioni del Centro Italia (colpite del sisma), per sollecitare Parlamento e Governo affinché determinino, e predispongano, un piano di risorse “reali” (cassa) in modo da finanziare, in 5/10 anni, tutta la ricostruzione inclusi i danni “indiretti” e, anche, i piani di sviluppo post sisma 2016/17.
Più che alle “discussioni infinite nei partiti” bisogna pensare di più ai “problemi reali del paese”.
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1 Commento
Sisma
Perché lo Stato dovrebbe
riparare coi soldi pubblici
le case private?
Di Giampaolo Ceci (Direttore del Centro Studi Edili di Foligno)
La politica fin qui attivata dal Nostro Stato è di finanziare interamente la ricostruzione del patrimonio immobiliare delle zone colpite da gravi calamità naturali.
A mio parere, una politica di corto respiro e, per certi versi, anche ingiusta.
Di corto respiro, perché non inserisce le zone disastrate in un progetto di ripresa economico/sociale più generale che invogli i residenti restare nelle zone disastrate e ingiusta, perché determina un vantaggio patrimoniale SOLO ai proprietari d’immobili che se li vedono ristrutturare a spese dello Stato. Chi non ha investito in case ma in titoli o in terreni non ha diritto nulla, perché non possedeva “case”.
Perché si aiutano SOLO i proprietari d’immobili? Che cosa contengono gli immobili di così prioritario per lo sviluppo delle zone colpite da grandi calamità, da renderli una spesa prioritaria rispetto a quelle d’investimento o di sostegno all’economia?
In realtà sarebbe solo dall’individuazione delle prospettive di rinascita economica che si dovrebbero stabilire le priorità d’intervento, se si vuole governarlo. E’ su questa prioritaria questione, che dovrebbe incentrarsi il dibattito politico e la definizione delle priorità di spesa, piuttosto che le procedure per ricostruire in fretta le abitazioni distrutte, senza sapere neppure chi e perché, poi qualcuno, dovrebbe andare ad abitarle.
Resta senza risposta razionale la domanda a carattere generale: perché lo Stato dovrebbe aiutare i proprietari di edifici delle zone colpite da calamità naturali a ricostruirle?
Evidentemente per lo Stato questi immobili hanno una valenza sociale che da sola determinerà la ripresa economica delle zone terremotate. Non è sempre così ma diamolo per scontato.
A MIO AVVISO, qualunque sia l’ipotesi di sviluppo LO STATO DOVREBBE avere ben chiaro ciò che in un immobile o paese costituisce LA COMPONENTE SOCIALE da quella che è invece una componente PRIVATA che deve essere gestita dal privato.
LE RISORSE STATALI DOVREBBERO ESSERE INDIRIZZATE SOLO VERSO IL RECUPERO DELLE FUNZIONI CHE HANNO VALENZA SOCIALE E NON QUELLE DI NATURA PRIVATISTICA.
A ben pensarci un paese costituisce un elemento paesaggistico caratteristico o di pregio solo se la sua conformazione architettonica si caratterizza per l’inserimento gradevole nei luoghi o è portatrice di ricordi o segni del passato che non devono andare dispersi, perché costituiscono la storia e l’identità culturale di quei luoghi.
Questo però se la politica fosse di ottimizzare e contenere la spesa pubblica senza creare indebiti arricchimenti patrimoniali di singoli proprietari immobiliari che per il solo fatto di possedere un alloggio (magari vecchio e malandato) se lo vedono ristrutturare e ammodernare a spese dello Stato.
Come si distinguono i beni a valenza sociale da quelli d’interesse esclusivo del privato?
In realtà la questione è facile: è un bene sociale ogni edificio che contribuisce con la sua architettura a costituire il “paesaggio “ caratteristico del luogo o la sua urbanistica se di pregio.
Sono un bene sociale anche le strutture portanti degli edifici perché contribuiscono a limitare i danni e i lutti delle popolazioni, qualora colpite da altre prevedibili calamità sismiche.
Non basta, vi sono poi i lavori che hanno una valenza sociale, in altre parole quelli che fanno riferimento all’ambientazione paesaggistica (recupero o nuovo) del paese e architettonica. Tralasciamo le infrastrutture.
Questi lavori devono quindi essere a carico dalla collettività perché ricostituiscono i valori ambientali del luogo e consentono di restituire ai paesi danneggiati, il loro aspetto urbanistico che faccia riprendere subito le normali attività sociali e di relazione all’interno dell’abitato.
In pratica lo stato dovrebbe finanziare interamente le spese necessarie al miglioramento sismico e al recupero architettonico, paesaggistico e urbanistico degli edifici che costituiscono l’ambientazione storico culturale del paese (solo se se ve ne è una che merita di essere salvaguardata) magari migliorandola.
In questa categoria di lavori è incluso tutto ciò che è visibile dall’esterno (negozi inclusi) o per semplificare, tutto ciò che è condominiale (tetti, gronde, infissi intonaci e tinteggi, negozi a piano strada con relativi interni, i portoncini d’ingresso agli alloggi, comprese le scale interne e i portoncini degli alloggi).
Restano esclusi gli alloggi interni alle abitazioni. Ma questi sono proprietà privata, se non inseriti in edifici vincolati, costituiscano un bene patrimoniale senza valenza sociale in senso stretto.
Ciascun proprietario se li rammoderni come gli pare, ma sue spese!
Lo Stato potrebbe intervenire con una piccola quota di solidarietà valida per tutti, magari con la concessione di mutui agevolati. Non trovo motivazioni per dare di più visto che, casomai, dovrebbe aiutare prima quei cittadini delle zone più povere dello Stato che la casa non la possiedono affatto.
La fruibilità dei borghi e delle cittadine, interamente distrutte, non sarebbe necessariamente legata alla ricostruzione anche degli interni dei singoli edifici o alle bizze dei proprietari e quindi i paesi danneggiati assumerebbero la loro fruibilità urbanistica, architettonica e sociale in tempi molto più rapidi.
Si deve rilevare infine un altro vantaggio: realizzare solo i lavori strutturali e quelli condominiali richiede un tempo molto minore di quello necessario a ristrutturare tutto l’edificio se si escludono le opere per ristrutturare anche gli alloggi interni, che comunque possono sempre essere realizzati contestualmente alle opere condominiali, trattando il prezzo con l’impresa che li esegue.
Umbria Journal è testata giornalistica. Fondata e diretta da Marcello Migliosi. Iscritta nel registro stampa Reg. n. 14/2004 Trib. Perugia 12/05/2004. Un sito CrossMedialProject - powereb by Marcello Migliosi e Morena Zingales
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Sisma
Perché lo Stato dovrebbe
riparare coi soldi pubblici
le case private?
Di Giampaolo Ceci (Direttore del Centro Studi Edili di Foligno)
La politica fin qui attivata dal Nostro Stato è di finanziare interamente la ricostruzione del patrimonio immobiliare delle zone colpite da gravi calamità naturali.
A mio parere, una politica di corto respiro e, per certi versi, anche ingiusta.
Di corto respiro, perché non inserisce le zone disastrate in un progetto di ripresa economico/sociale più generale che invogli i residenti restare nelle zone disastrate e ingiusta, perché determina un vantaggio patrimoniale SOLO ai proprietari d’immobili che se li vedono ristrutturare a spese dello Stato. Chi non ha investito in case ma in titoli o in terreni non ha diritto nulla, perché non possedeva “case”.
Perché si aiutano SOLO i proprietari d’immobili? Che cosa contengono gli immobili di così prioritario per lo sviluppo delle zone colpite da grandi calamità, da renderli una spesa prioritaria rispetto a quelle d’investimento o di sostegno all’economia?
In realtà sarebbe solo dall’individuazione delle prospettive di rinascita economica che si dovrebbero stabilire le priorità d’intervento, se si vuole governarlo. E’ su questa prioritaria questione, che dovrebbe incentrarsi il dibattito politico e la definizione delle priorità di spesa, piuttosto che le procedure per ricostruire in fretta le abitazioni distrutte, senza sapere neppure chi e perché, poi qualcuno, dovrebbe andare ad abitarle.
Resta senza risposta razionale la domanda a carattere generale: perché lo Stato dovrebbe aiutare i proprietari di edifici delle zone colpite da calamità naturali a ricostruirle?
Evidentemente per lo Stato questi immobili hanno una valenza sociale che da sola determinerà la ripresa economica delle zone terremotate. Non è sempre così ma diamolo per scontato.
A MIO AVVISO, qualunque sia l’ipotesi di sviluppo LO STATO DOVREBBE avere ben chiaro ciò che in un immobile o paese costituisce LA COMPONENTE SOCIALE da quella che è invece una componente PRIVATA che deve essere gestita dal privato.
LE RISORSE STATALI DOVREBBERO ESSERE INDIRIZZATE SOLO VERSO IL RECUPERO DELLE FUNZIONI CHE HANNO VALENZA SOCIALE E NON QUELLE DI NATURA PRIVATISTICA.
A ben pensarci un paese costituisce un elemento paesaggistico caratteristico o di pregio solo se la sua conformazione architettonica si caratterizza per l’inserimento gradevole nei luoghi o è portatrice di ricordi o segni del passato che non devono andare dispersi, perché costituiscono la storia e l’identità culturale di quei luoghi.
Questo però se la politica fosse di ottimizzare e contenere la spesa pubblica senza creare indebiti arricchimenti patrimoniali di singoli proprietari immobiliari che per il solo fatto di possedere un alloggio (magari vecchio e malandato) se lo vedono ristrutturare e ammodernare a spese dello Stato.
Come si distinguono i beni a valenza sociale da quelli d’interesse esclusivo del privato?
In realtà la questione è facile: è un bene sociale ogni edificio che contribuisce con la sua architettura a costituire il “paesaggio “ caratteristico del luogo o la sua urbanistica se di pregio.
Sono un bene sociale anche le strutture portanti degli edifici perché contribuiscono a limitare i danni e i lutti delle popolazioni, qualora colpite da altre prevedibili calamità sismiche.
Non basta, vi sono poi i lavori che hanno una valenza sociale, in altre parole quelli che fanno riferimento all’ambientazione paesaggistica (recupero o nuovo) del paese e architettonica. Tralasciamo le infrastrutture.
Questi lavori devono quindi essere a carico dalla collettività perché ricostituiscono i valori ambientali del luogo e consentono di restituire ai paesi danneggiati, il loro aspetto urbanistico che faccia riprendere subito le normali attività sociali e di relazione all’interno dell’abitato.
In pratica lo stato dovrebbe finanziare interamente le spese necessarie al miglioramento sismico e al recupero architettonico, paesaggistico e urbanistico degli edifici che costituiscono l’ambientazione storico culturale del paese (solo se se ve ne è una che merita di essere salvaguardata) magari migliorandola.
In questa categoria di lavori è incluso tutto ciò che è visibile dall’esterno (negozi inclusi) o per semplificare, tutto ciò che è condominiale (tetti, gronde, infissi intonaci e tinteggi, negozi a piano strada con relativi interni, i portoncini d’ingresso agli alloggi, comprese le scale interne e i portoncini degli alloggi).
Restano esclusi gli alloggi interni alle abitazioni. Ma questi sono proprietà privata, se non inseriti in edifici vincolati, costituiscano un bene patrimoniale senza valenza sociale in senso stretto.
Ciascun proprietario se li rammoderni come gli pare, ma sue spese!
Lo Stato potrebbe intervenire con una piccola quota di solidarietà valida per tutti, magari con la concessione di mutui agevolati. Non trovo motivazioni per dare di più visto che, casomai, dovrebbe aiutare prima quei cittadini delle zone più povere dello Stato che la casa non la possiedono affatto.
La fruibilità dei borghi e delle cittadine, interamente distrutte, non sarebbe necessariamente legata alla ricostruzione anche degli interni dei singoli edifici o alle bizze dei proprietari e quindi i paesi danneggiati assumerebbero la loro fruibilità urbanistica, architettonica e sociale in tempi molto più rapidi.
Si deve rilevare infine un altro vantaggio: realizzare solo i lavori strutturali e quelli condominiali richiede un tempo molto minore di quello necessario a ristrutturare tutto l’edificio se si escludono le opere per ristrutturare anche gli alloggi interni, che comunque possono sempre essere realizzati contestualmente alle opere condominiali, trattando il prezzo con l’impresa che li esegue.