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Aids, Antinori (Spallanzani), ‘Tanti intrecci con Covid, ma vaccino lontano’
L’Hiv e Sars-CoV-2 sono virus diversi ma con molte affinità e tanti intrecci da quando, ormai due anni fa, è scoppiata la pandemia. Il primo legame è il fatto che sono due virus a Rna ma pur avendo questa ‘parentela’ reagiscono in modo molto diverso alle terapie e, oggi più che mai, ai vaccini. “Sull’Hiv e Sars-CoV-2 c’è una questione di interesse biologico ed è quella dei vaccini – spiega all’Adnkronos Salute Andrea Antinori, direttore dell’Uoc Immunodeficienze virali dell’Inmi Spallanzani di Roma – le piattaforme vaccinali che stiamo usando, i vaccini a mRna e anche quelli a vettore virale, vengono da esperienze che riguardano l’Hiv. In prospettiva – ricorda – queste piattaforme potranno essere utili per trasferire i benefici ottenuti sul Covid nello sviluppo di un vaccino per l’Hiv. Ma sappiamo che ci sono difficoltà diverse nel secondo caso, dall’immunità neutralizzante a quella cellulare. La strada è ancora lunga”.
Fonte: AdnKronos
Il vaccino anti-Hiv, quando e se ci sarà, “sarebbe una forma di profilassi che dovrebbero fare chi ha comportamenti a rischio”, precisa Antinori. Domani è la Giornata mondiale dell’Aids, ma rispetto agli anni ’80-’90 la situazione delle persone sieropositive è molto differente. Possiamo parlare di malattia cronica? “Possiamo assolutamente dirlo – chiarisce Antinori – Oggi la sopravvivenza delle persone Hiv positive è molto vicina ai sieronegativi, ovviamente ci sono eccezioni per alcuni gruppi di pazienti che hanno una maggiore vulnerabilità e quindi la loro attesa di vita è diversa. Ma sì, possiamo parlare di malattia cronica. Abbiamo farmaci antiretrovirali che funzionano e garantiscono una sopressione virale duratura. Certo – avverte – non abbiamo ancora una cura risolutiva”.
“Il vero ostacolo – chiosa – è come eliminare il serbatoio del virus, i casi del ‘paziente inglese’ o del ‘paziente di Berlino’, legati al trapianto allogenico di midollo, ci hanno dato alcune direttive che però dovranno essere confermati da studi. Su questo c’è tanta ricerca di base e non dobbiamo perdere la speranza, sul fronte vaccino e su quello dell’eradicazione dell’infezione”.
Sempre sugli intrecci tra l’Hiv e il Covid, l’ultimo ‘caso’ è quello legato alla nuova variante Omicron che per alcuni si sarebbe sviluppata da un paziente sudafricano Hiv positivo non vaccinato. “E’ chiaro che in Sudafrica potrebbe essere successo questo ma è solo un’ipotesi, soprattutto perché la prevalenza dell’Hiv nella popolazione è elevata, e seppure l’accesso alle terapie è più avanti rispetto agli altri paesi del continente è ben lontano dagli standard europei – sottolinea Antinori -. E’ chiaro che un paziente Hiv positivo, magari non in trattamento, viene contagiato, la sua condizione permette al Sars-CoV-2 di persistere per un periodo abnorme molto più lungo rispetto alla media, questo può facilitare eventuali varianti. Ma in Italia tutti i pazienti Hiv positivi accedono ai trattamenti e, se positivi, vengono sottoposti subito agli anticorpi o agli antivirali. Quindi – rimarca – l’ipotesi secondo la quale la variante Omicron possa essere nata da questa combinazione particolare, che da noi, ripeto, non è riproducibile, andrebbe presa con molta cautela. C’è il rischio di aumentare ancora di più lo stigma dell’Aids e non possiamo permettercelo”.
Altro fronte che ha visto incrociarsi la storia dell’Hiv con quella più giovane del Sars-CoV-2, sono le terapie. “Abbiamo capito che di fatto gli antiretrovirali non funzionano sul Covid, come si era sperato in un primo momento – ricorda Antinori – Sul fatto poi che i positivi dall’Hiv si ammalano più facilmente di Covid e rischiano di aggravarsi ci sono ancora posizioni controverse – prosegue Antinori -. I dati non ci danno una lettura chiara, soprattutto perché non tutte le persone hanno un’immunodeficienza. In più le terapia contro l’Hiv funzionano ma appena vengono interrotte la malattia si ripresenta. Poi ci sono pazienti che sono più vulnerabili ma non abbiamo dati certi che questo stato aumenti la progressione del Covid. Possiamo dire, che se l’Hiv è diagnosticato da poco tempo e la persona non ha ancora iniziato un trattamento, potrebbe essere più vulnerabile al Covid”.
La pandemia Covid, come accaduto per tutte le malattie, ha impattato anche sui bisogni dei pazienti sieropositivi. “Sicuramente c’è stato un impatto negativo anche sulla gestione dell’Hiv – conclude Antinori – però dai primi dati che ci stanno arrivando sulle verifiche di questa emergenza, sembra che il sistema abbia tenuto. C’è stato un calo di accesso ai test, dovuto in maggior parte ai periodi di lockdown vissuti lo scorso anno, ma non si è mai interrotta la distribuzione delle terapie e l’accesso ai monitoraggi. Per capire il reale impatto – conclude – dobbiamo aspettare ancora dei mesi. Solo allora si potranno tirare le somme di quanto la pandemia abbia fatto ritardare le prime diagnosi e le risposte ai bisogni dei cittadini”.
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