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Soccorso Alpino e speleologico dell’Umbria, un anno dal terremoto
PERUGIA – Erano le 3:36 del 24 agosto 2016, quando una violenta scossa di terremoto colpiva le zone di Umbria, Marche e Lazio. Tutti i paesi lungo la Salaria da Amatrice fino ad Arquata del Tronto sono rasi al suolo. Subito scattavano le campane di allarme e la macchina organizzativa del Soccorso Alpino e Speleologico Umbria (SASU) si metteva in movimento. A meno di tre ore dalla prima violenta scossa, 50 soccorritori venivano dislocati lungo l’area maggiormente colpita.
Ore ed ore passate a scavare in mezzo a cumuli di macerie, senza soluzione di continuità, per cercare di salvare più vite possibili. Ad ogni vita salvata un scarica di adrenalina si abbatteva su di loro, urla di felicità ed applausi ma subito ricominciavano a scavare, senza sosta.
Così per tre giorni e tre notti i tecnici del SASU, insieme ai colleghi del Lazio e delle Marche, con tanti altri volontari del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico provenienti da ogni regione d’Italia, hanno lavorato in uno scenario di distruzione e dolore inimmaginabile.
Tre giorni e tre notti senza concedersi un attimo di pausa perché non c’era tempo, ogni secondo è prezioso, ogni istante è vitale in queste situazioni.
Il terreno sempre in movimento, scosse continue, incessanti; ma si continuava a scavare.
Dopo settantadue ore trascorse in quello scenario apocalittico, pieno di morte e disperazione, l’attività di ricerca e soccorso vienne chiusa dopo l’estrazione dell’ultimo corpo ormai esanime. Per molti di loro non era la prima volta che si trovavano a lavorare in una situazione del genere: era già successo nel 2009 a L’Aquila. Anche lì lo stesso terrificante dramma.
Per mesi hanno affrontato ogni tipo di emergenza, a volte ripetendo sempre lo stesso triste copione, come per le scosse del 26 e del 30 ottobre dove in quel caso, per fortuna, il terremoto non ha ucciso nessuno ma ha raso al suolo interi comuni, paesi, luoghi di culto.
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