Laura Santi, su fine vita reclamo presentato contro ordinanza incompleta

Laura Santi, su fine vita reclamo presentato contro ordinanza incompleta
Laura Santi con il marito Stefano Massoli

Laura Santi, su fine vita reclamo presentato contro ordinanza incompleta

Laura Santi – Oggi si è tenuta un’udienza presso il Tribunale di Perugia relativa al caso di Laura Santi, affetta da sclerosi multipla, che ha presentato un reclamo contro un’ordinanza di primo grado che i suoi legali ritengono incompleta rispetto alle richieste avanzate. Nel precedente verdetto del 11 luglio, il Tribunale di Perugia aveva riconosciuto il diritto di Laura Santi ad accedere al suicidio medicalmente assistito e aveva ordinato un parere da parte del Comitato etico regionale entro 60 giorni.

Tuttavia, il reclamo è stato presentato in quanto l‘ordinanza si limitava a riconoscere il diritto di Laura Santi senza specificare le procedure dettagliate necessarie per rispettare questo diritto, come richiesto dalla Corte costituzionale.

Durante l’udienza, i legali di Laura Santi hanno ribadito l’urgenza di completare tutte le fasi previste dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale, inclusa l’individuazione del farmaco e delle modalità di autosomministrazione. Hanno anche contestato le conclusioni dell’azienda sanitaria riguardo al requisito del trattamento vitale, sostenendo che le persone che assistono Laura Santi rappresentano un sostegno vitale essenziale.

La difesa dell’azienda sanitaria ha sostenuto di aver adempiuto correttamente ai propri doveri e ha affermato che, poiché il requisito di trattamento vitale non era soddisfatto, non riteneva necessario procedere ulteriormente con l’iter indicato dalla Consulta.

Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, ha sottolineato l’importanza di completare le verifiche previste dalla sentenza costituzionale e ha sollecitato un termine tassativo per garantire i diritti di Laura Santi.

Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, ha evidenziato la necessità di intervenire a livello regionale per definire i tempi e le modalità con cui le persone malate hanno il diritto di ricevere una risposta, dato il persistente ritardo del Parlamento nell’adottare una legge nazionale sulla fine della vita.

Il suicidio medicalmente assistito è una pratica che consiste nell’aiutare una persona a porre fine alla propria vita con un farmaco letale, che deve essere ingerito autonomamente e volontariamente dal paziente stesso. Si tratta di una scelta diversa dall’ eutanasia, in cui è un’altra persona (di solito un medico) a somministrare direttamente il farmaco tramite iniezione o a sospendere le cure che mantengono in vita il paziente.

In Italia, il suicidio medicalmente assistito non è regolato da una legge specifica, ma si basa su una sentenza della Corte Costituzionale del 20191, che ha stabilito che non è punibile chi aiuta a morire una persona affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili e tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, purché il paziente sia capace di intendere e di volere e la sua volontà sia libera, consapevole, informata e reiterata nel tempo.

In Italia, il primo caso di suicidio medicalmente assistito autorizzato da un’azienda sanitaria si è verificato nel novembre 2021 nelle Marche, dove un uomo tetraplegico da dieci anni ha ottenuto il consenso per poter accedere alla pratica2. Tuttavia, la questione rimane controversa e delicata, e richiede una regolamentazione chiara e uniforme a livello nazionale.

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