Piano Straordinario Umbria: 44.000 Cinghiali da Abbattere Annualmente

Confagricoltura Umbria solleva preoccupazioni sulla gestione del piano di contenimento dei cinghiali

Piano Straordinario Umbria: 44.000 Cinghiali da Abbattere

Piano Straordinario Umbria: 44.000 Cinghiali da Abbattere Annualmente

L’Umbria si prepara per un prelievo annuale di 44.000 cinghiali, come parte del Piano Straordinario nazionale di contenimento per i cinghiali. Tuttavia, Fabio Rossi, presidente di Confagricoltura Umbria, ha espresso preoccupazioni sulla gestione del piano.

Rossi ha accolto positivamente la delibera della Regione Umbria che attua la normativa prevista, ma ha sottolineato che permangono criticità di natura gestionale, organizzativa e normativa che limitano il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal Piano. Ha avvertito che l’obiettivo dei 44.000 capi rischia di essere di nuovo inadeguato alla riduzione della popolazione esistente.

Confagricoltura Umbria ha avanzato diverse richieste alla Regione, tra cui la ridefinizione del regime gestionale delle aree vocate e non vocate, la rotazione dell’assegnazione dei settori di caccia, la prolungazione dell’orario della caccia di selezione, la normazione e l’avvio della caccia in girata, e la costruzione di un percorso certificato delle carni di selvaggina.

Il Commissario Straordinario alla Peste suina africana, Vincenzo Caputo, ha dato vita al Piano Straordinario 2023-2028 di catture, abbattimento e smaltimento dei cinghiali (Sus scrofa) e Azioni Strategiche per l’Elaborazione dei Piani di Eradicazione nelle Zone di Restrizione da Peste Suina Africana (PSA).

Per l’Umbria, il Piano Straordinario prevede un prelievo annuale complessivo di 44.000 capi, così distinto: 24.000 capi da abbattersi in caccia collettiva e caccia in forma singola; 10.000 capi da abbattersi in caccia di selezione; 10.000 capi da abbattersi in controllo.

Tuttavia, a fronte di tali contingenti, che prevedono un incremento significativo di capi da abbattere, soprattutto in caccia di selezione e controllo, permangono criticità legate alle diverse forme di prelievo del suide che limitano le capacità operative e il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal Piano.

Confagricoltura Umbria ha quindi chiesto alla Regione Umbria di considerare alcune proposte. Tra queste, la ridefinizione del regime gestionale delle aree vocate e non vocate, che dovrebbero trasformarsi in aree a gestione conservativa (aree boscate in cui è permessa la presenza di cinghiale a determinate densità) e aree di rimozione (aree agricole in cui la presenza del cinghiale è indesiderata).

Inoltre, Confagricoltura Umbria ha proposto di ruotare l’assegnazione dei settori di caccia contigui alle aree con incidenza di danni superiore alla media del distretto e/o in cui si verificano episodi di incidentalità stradale. Ha anche suggerito di prolungare l’orario della caccia di selezione da due ore prima dell’alba e fino alla mezzanotte, consentendo l’utilizzo di ottiche notturne come già avviene in altre regioni (per esempio Emilia-Romagna, Lazio).

Infine, Confagricoltura Umbria ha chiesto di normare e avviare la caccia in girata, tecnica altamente selettiva e compatibile con la conservazione dell’altra fauna, che risulta particolarmente adeguata ad essere utilizzata nel territorio umbro caratterizzato dal tipico mosaico di aree agricole e aree boscate.

Rossi ha sottolineato l’importanza di quantificare in maniera definitiva la popolazione di cinghiale presente nel territorio regionale tramite l’utilizzo di tecniche moderne e ditte esterne. Ha affermato che, sebbene i 44.000 capi previsti dal Piano siano di fatto doppi rispetto agli abbattimenti dichiarati degli ultimi anni, i capi realmente abbattuti negli anni passati sono molto superiori rispetto a quelli dichiarati, per cui l’obiettivo dei 44.000 capi rischia di essere di nuovo inadeguato alla riduzione della popolazione esistente.

Rossi ha anche apprezzato il prolungamento del periodo della caccia collettiva, ma ha suggerito che l’inizio vada fissato al 1° ottobre con termine al 31 gennaio, sia per limitare i danni alle colture presenti in campo ancora in ottobre come vite, mais, tabacco, nocciolo, sia per limitare al massimo la sovrapposizione con la caccia di selezione.

Il Piano ha fissato un obiettivo molto ambizioso per la caccia di selezione a 10.000 capi; tuttavia, al momento la caccia di selezione sta portando risultati del tutto deficitari anche a causa del boicottaggio da parte di alcune squadre di cinghialisti. Questa situazione potrebbe essere risolta o quantomeno migliorata con l’entrata in vigore dell’app prevista dalla Regione per la prenotazione dei punti sparo e con il contestuale controllo dell’effettiva presenza sul territorio.

A causa dei diffusi conflitti che vedono coinvolti cacciatori operanti diverse forme di prelievo, si rende necessaria una maggiore vigilanza da parte delle istituzioni preposte e una maggiore incisività nel sanzionare e reprimere atti intimidatori e di disturbo.

Infine, non è più procrastinabile la costruzione di un adeguato quadro normativo ed organizzativo, oltre a un percorso certificato delle carni di selvaggina che possa permettere sia l’utilizzo corretto, salubre e consapevole da parte del consumatore finale, sia la crescita delle imprese del territorio umbro.

Confagricoltura Umbria, secondo quanto afferma ancora Rossi, ritiene quindi che le proposte nel loro complesso possano contribuire a raggiungere l’obiettivo di una “convivenza accettabile” con la specie, tale da permettere la conservazione della biodiversità, la diminuzione dei danni all’agricoltura e degli incidenti stradali, oltre ad una valorizzazione delle altre forme di prelievo venatorio oggi “schiacciate” da una gestione faunistica completamente ripiegata sul cinghiale.

La riduzione numerica del suide è di fondamentale importanza anche per prevenire l’insorgenza e la conseguente diffusione di focolai di peste suina africana che, oltre a causare ingenti danni economici al comparto zootecnico e alla filiera suinicola, provocherebbe una limitazione della fruizione del territorio, come parzialmente avviene in alcune aree dell’Italia settentrionale, in cui la circolazione del virus è elevata, provocando gravi ripercussioni anche per il comparto turistico e agrituristico.

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