Economia umbra, segnali di ripresa, Giornata Economia e Premiazione Lavoro e Impresa

mencaroniIntervento Presidente Camera di Commercio di Perugia Giorgio Mencaroni
Gli osservatori economici individuano alcuni segnali di ripresa che, con le dovute cautele, potrebbero indicare un’inversione di tendenza dell’andamento economico italiano ed europeo. Le ultime previsioni della Commissione europea confermano l’uscita dalla recessione anche dell’Italia e una ripresa generale, trainata principalmente dalla domanda estera, anche se più rallentata per il nostro Paese.
Quel che è certo, il 2013 per l’economia italiana è stato un ulteriore anno di recessione, e tra i più pesanti. Ancora stretta fra le esigenze di politiche di bilancio restrittive legate ai Trattati Europei e la prosecuzione di una fase di forte restrizione del credito bancario.
La minore veicolazione di credito da parte delle banche, in particolare, è da ricondurre a numerosi fattori: il calo della domanda di investimenti per le incerte prospettive di mercato; il forte degrado dello scoring creditizio di imprese e famiglie correlato a situazioni diffuse di peggioramento finanziario dovute alla crisi stessa; l’esigenza del sistema bancario di adottare politiche più prudenziali, per contrastare segnali di peggioramento della tenuta patrimoniale, e per adempiere ai requisiti gestionali di Basilea 3.

Le previsioni per il 2014 parlano di una lieve ripresa produttiva, con il PIL che dovrebbe mettere a segno un incremento di circa mezzo punto percentuale. In base alle previsioni, sia la domanda interna che la domanda estera netta registrerebbero variazioni positive nell’anno in corso, pari rispettivamente a 0,4 e 0,2 punti percentuali, mentre è attesa una ripresa significativa dei tassi di crescita degli investimenti (+1,9%).
La lentezza di tale ripresa tuttavia, dopo una caduta molto significativa, associata ai tempi lunghi di risposta del mercato del lavoro, non comporterebbe alcun effetto significativo sull’occupazione.

In questi anni ho ripetutamente affermato che senza impresa non si esce dalla crisi, e senza impresa non si crea occupazione.
In provincia di Perugia su questo fronte avevamo resistito, fino a un anno fa, meglio che nel resto d’Italia, ma il 2013 è stato molto pesante.
Nonostante le imprese perugine mostrino una vitalità maggiore delle imprese nazionali, se consideriamo che il loro tasso di sopravvivenza è superiore alla media Italia, il tessuto imprenditoriale complessivamente ha avuto risultati poco incoraggianti.
Il 2013 si è chiuso con uno stock d’imprese (73.451) inferiore a quello dell’anno precedente e un’accelerazione del tasso di mortalità su base annua che testimonia la crescente difficoltà delle nostre imprese a rimanere sul mercato.

Siamo una provincia ancora lontana da una ripresa apprezzabile e, purtroppo, complessivamente più povera. Il tenore di vita si attesta al di sotto della media nazionale, come è evidenziato dai dati relativi alla ricchezza prodotta. Il valore aggiunto a prezzi correnti pro-capite del perugino risulta infatti pari a 21.462 euro, inferiore ai 23.333 euro nazionali e, soprattutto, ai 25.830 euro del Centro. Nell’ultimo anno la provincia ha registrato una variazione del prodotto interno lordo pro-capite, in termini correnti, pari a -1%. Per quanto si tratti di un lieve miglioramento, rispetto al 2012, resta il fatto che nel 2013 Perugia ha variato la propria posizione nella graduatoria delle province italiane, in base al prodotto interno lordo pro-capite, arretrando dal 57-esima alla 58-esima posizione.
Siamo nella “terra di mezzo”, ma stiamo lentamente scivolando verso il fondo, da cui si spera di potere prendere slancio!.

Tuttavia, siccome sono convinto che l’ottimismo sia non solo uno stato d’animo ma un’ attitudine, ricordo che, pur nella sua virulenza, la crisi non ha travolto alcuni punti di forza fondamentali dell’Italia e della nostra provincia, come la capacità di agire e competere sui mercati esteri.
Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison hanno presentato in questi giorni alla stampa “10 verità” sulla competitività italiana: una risposta a tanti luoghi comuni che non rendono giustizia al nostro Paese e rischiano di distogliere l’attenzione dai suoi reali problemi.
Quali sono queste verità? Ce le ha ricordate l’altro giorno a Roma il presidente Dardanello nella sua relazione alla Giornata dell’Economia nazionale.
Ad esempio, solo 5 paesi al mondo possono vantare un surplus commerciale manifatturiero superiore a 100 miliardi di dollari. E l’Italia è uno di questi, oltre a Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud.
C’è un paese in Europa che attira più turisti cinesi, statunitensi, canadesi, australiani e brasiliani di ogni altro. E’ l’Italia.
E c’è un Paese che durante la crisi globale ha visto il proprio fatturato estero manifatturiero crescere più di quello tedesco. Questo paese è l’Italia.

Tornando al quadro provinciale, la domanda estera manda segnali particolarmente incoraggianti. I dati sul commercio estero presentano nel 2013 una forte crescita tendenziale delle esportazioni. Il valore dell’export è pari a circa 2,4 miliardi di euro, il che significa una variazione del +8,4% rispetto al +4,3% dello scorso anno. Peraltro la variazione dell’export provinciale è decisamente superiore a quella registrata dal Centro e dall’Umbria (di segno negativo), e anche a quella nazionale.
Esistono ancora ampi margini di miglioramento della propensione all’export e del livello d’internazionalizzazione delle imprese, processi dei quali potrà avvantaggiarsi tutta l’economia provinciale. Bisogna pertanto aiutare le imprese che hanno i numeri per esportare e far sì che superino la ‘paura dell’ignoto’ legata ai mercati esteri.

Una priorità che la Camera di Commercio ha fatto propria. Per mezzo dello sportello Worldpass, di appositi bandi, e tramite l’attività del Centro Estero dell’Umbria che propri nei giorni scorsi ha inaugurato ‘Casa Umbria” a Shanghaì, un progetto grazie al quale undici aziende umbre del settore dell’arredamento e del design, sono approdate nella metropoli cinese. Un punto di partenza per la creazione di joint venture strategiche.

Sul versante dell’occupazione, la situazione resta particolarmente critica. Nel primo trimestre di quest’anno il nostro Paese ha registrato il record storico di disoccupazione con un 13,6%, in crescita di 0,8 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Si tratta del valore più alto dall’inizio delle serie trimestrali, partite nel 1977. E sempre secondo i dati diffusi dall’Istat nei giorni scorsi, nel primo trimestre del 2014 il numero delle persone disoccupate ha sfiorato i 3 milioni e mezzo. Su base regionale siamo passati a un tasso di disoccupazione del 12,6 (dal 10,5 del I trim. 2013) l’incremento più ampio tra tutte le regioni italiane, superato soltanto da quello dell’Abruzzo e della Sicilia.
A fine 2013 il tasso di occupazione provinciale si attestava al 61,5%, lievemente ridotto rispetto al 61,8% del 2012. Mentre il tasso di disoccupazione era al 10,5%, in aumento rispetto al 10,2% del 2012.
Per quanto riguarda poi i movimenti occupazionali delle imprese dell’industria e dei servizi, i primi dati provenienti dal Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e Ministero del Lavoro mostrano per la provincia di Perugia un saldo negativo che, a fine 2014, sarà di oltre 2.000 posti di lavoro (2.150).

Ma la cosa più preoccupante è il tasso di occupazione dei giovani (fino a 34 anni), che continua a scendere e nel 2013 si è attestato al 46,1%, il valore più basso dal 2005.
Si tratta ormai di un fenomeno che si aggrava anche per effetto dello scoraggiamento nella ricerca del lavoro.
In un paese messo alle corde da un quinquennio di crisi, quelli che pagano sono soprattutto i giovani – i nostri figli – ai quali stiamo negando la speranza, il futuro.
Una generazione esclusa, molti dei quali non sono al lavoro e nemmeno sui libri o in una bottega a imparare un mestiere.
E mi angoscia pensare che questa generazione, la generazione dei nostri figli, escluse quelle che hanno conosciuto le grandi guerre – sarà la prima, da più di un secolo, che starà peggio di quella che l’ha preceduta.
Oggi premiamo imprese e lavoratori che si sono distinti per il loro impegno, per la dedizione, la passione e la vitalità profuse in un percorso di carriera che ha abbracciato una vita intera.
Voi, siete l’immagine della componente vitale della nostra società: ora dobbiamo consentire ai nostri figli di fare lo stesso.
Capacità e volontà non mancano.
Dobbiamo far diventare i giovani i veri protagonisti di un nuovo modello di sviluppo, compatibile e sostenibile e raggiungere i livelli di occupazione medi europei.

Quali le strade da percorrere? Promuovere e accompagnare le politiche attive del lavoro, ridare slancio ai servizi per l’impiego attraverso una regia unitaria a livello nazionale, che veda coinvolti a livello locale diversi attori, tra cui anche le Camere di commercio.
Come sistema camerale, sfruttando il sistema Excelsior e il Registro delle imprese, possiamo raggiungere in maniera mirata le aziende segnalando quelle professionalità che stanno cercando.
Per favorire l’occupazione abbiamo sostenuto iniziative come il progetto Pro Glocal, che permette a disoccupati e inoccupati di svolgere un periodo formazione ed esperienza pratica in azienda.
Sull’imprenditorialità, siamo parte del Network nazionale degli Sportelli per l’autoimprenditorialità giovanile. Proponiamo l’istituzione di un sistema ordinario di assistenza alla nascita di nuove imprese, fatto di servizi che incoraggino l’innovazione, prevedano un accesso facilitato al micro – credito e favoriscano l’utilizzo di fonti alternative di finanziamento.
Andava esattamente in questa direzione il bando per lo start up d’impresa, che abbiamo finanziato per sostenere l’avvio di nuove attività imprenditoriali.
E il sistema camerale italiano ha avanzato in questi giorni una proposta al Governo che serve a semplificare e alleggerire il carico fiscale sulle nuove imprese: l’abolizione dei diritti di segreteria legati all’iscrizione alla Camera di commercio e del pagamento del diritto annuale per i primi due anni di vita.

Sul fronte della formazione, abbiamo messo in atto interventi come “Improve Your Talent”, il programma di tirocinio – unico nel sistema camerale – con il quale abbiamo assegnato borse di studio a 18 giovani, laureandi o laureati, che per 4 mesi hanno lavorato presso altrettante Camere di Commercio italiane all’estero. Un’esperienza ad alto contenuto formativo che ha permesso a questi giovani di confrontarsi con le attività e gli impegni che le imprese ogni giorno devono affrontare nel loro percorso di internazionalizzazione. Un bagaglio di esperienze e nuove competenze acquisite sul campo, che mettiamo a disposizione del territorio e di quegli imprenditori che vorranno valorizzarle.

Ma c’è di più. Come Camera di Commercio abbiamo più volte affrontato il tema della formazione, del capitale umano, nella prospettiva dell’incontro fra domanda e offerta di lavoro e del raccordo fra scuola/università e impresa.
Negli istituti artistici, nelle officine della manualità, dove veniva coltivata “l’intelligenza delle mani”, sono state colpevolmente abbattute le ore di laboratorio. E negli istituti tecnici la teoria e i “progetti” hanno tolto spazio alla pratica.
Così, assistiamo ad un paradosso: nel pieno di una gravissima crisi, con molte imprese che sono costrette a chiudere i battenti, tante, troppe aziende addirittura faticano a trovare il personale specializzato di cui hanno urgente bisogno.

Il mondo dell’artigianato chiede quindi nuove regole, a partire dall’apprendistato che, come ricordano tutte le ricerche sull’argomento, è fondamentale per la rinascita del settore.
Va riscoperta la manualità, a partire dalla scuola. L’artigianalità è un valore da recuperare. E’ vero anche che nel tempo gli artigiani hanno cercato di evitare ai propri figli la fatica del lavoro ed hanno pensato di farli studiare, ma così si sta depauperando un settore strategico della nostra economia. Abbiamo un artigianato artistico di altissimo livello, un patrimonio caratteristico, distintivo, fatto di saperi e competenze, ineguagliabile per nessun altro paese al mondo.

Il percorso che come Presidente ho tracciato all’interno della struttura camerale, mi porta inevitabilmente ad affrontare un argomento che per noi, per il sistema delle Camere di Commercio italiane – ma anche per le imprese, da cui le Camere traggono legittimazione diretta – è di importanza fondamentale.
Come sapete, le logiche di riduzione della spesa pubblica stanno portando a mettere in discussione l’esistenza di molti enti pubblici. E anche le Camere di Commercio sono oggi messe in discussione.
Da una parte, lo Stato centrale è chiamato a ridurre i costi della politica e degli enti pubblici. Dall’altra, è ormai dilagante la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni.
Senza dubbio il “patto sociale” fondante, sancito nella nostra carta costituzionale, è stato in parte tradito, dalle differenti parti sociali.
Lo dico con chiarezza: la riforma della pubblica amministrazione è una necessità assoluta, da perseguire con forza e in tempi brevi.
Dobbiamo però evitare di disperdere quanto di buono è stato fatto fino ad oggi, o di lasciarci guidare da una cieca furia distruttiva o peggio ancora da un demagogico quanto generico richiamo al “rinnovamento”.
La riforma della pubblica amministrazione è una necessità. Siamo noi i primi a dire che occorre razionalizzare e concentrare gli investimenti su obiettivi strategici.
Ed è in questa ottica che il sistema camerale ha elaborato unanimemente una sua proposta, coraggiosa e al tempo stesso basata sull’aderenza alla realtà delle economie locali, per una piena riforma normativa del proprio assetto.
Ma è bene sapere che la cancellazione degli enti camerali non porterebbe nessun risparmio reale e nessun beneficio al Paese. In primo luogo, le Camere di Commercio non ricevono alcun trasferimento dal bilancio dello Stato, ma sono finanziate dalle imprese stesse attraverso il pagamento del diritto annuale, un tributo la cui misura è stabilita ogni anno con decreto ministeriale.
In secondo luogo senza il registro delle imprese e le altre numerose attività svolte dalle Camere di Commercio a favore del sistema produttivo, torneremmo indietro, sia sul fronte della sicurezza che del necessario sostegno che va comunque assicurato all’economia del territorio. Basti pensare all’importanza cruciale che il lavoro camerale riveste per l’economia dell’Umbria sul fronte della legalità, del sostegno al credito e della spinta all’export, in particolare per le imprese di piccole dimensioni.

Un punto mi sembra cruciale: la riforma deve mettere al centro i territori e le loro comunità di riferimento. E questo rapporto, fatto di ascolto e di scambio, non può essere assicurato se non dagli enti territorialmente più vicini ai loro interlocutori, secondo quel principio di sussidiarietà che la stessa Unione europea prescrive.

L’intero progetto di riforma sarà in ogni caso carente e monco se non verrà affrontato con decisione e chiarezza un nodo fondamentale per lo sviluppo economico: quello della legalità e della trasparenza, a protezione della libertà degli operatori economici e di un regolare svolgimento delle dinamiche imprenditoriali.
Tanto più nell’attuale fase di crisi economica, che favorisce l’insorgere o l’aggravarsi di fenomeni di illegalità.
Illegalità significa prima di tutto sottrazione di risorse al bilancio dello Stato e quindi ai cittadini e all’intero sistema economico e sociale. Il secondo rapporto sull’Agromafia, presentato nei giorni scorsi, denuncia gli affari d’oro che i clan concludono con la contraffazione dei prodotti agroalimentari. I sequestri di vini, ma anche altri prodotti, con griffe false sono cronaca di tutti i giorni. Un fenomeno che in Italia è in aumento, con un danno per il Made in Italy stimato in 60 miliardi di euro.
Nel settore agricolo, ad esempio, è sommerso il 43% degli occupati, mentre il valore aggiunto dell’economia in nero è pari al 36 per cento. Una situazione che costa al paese oltre 600 milioni l’anno per il mancato introito dei contributi previdenziali.
A livello nazionale il sistema camerale sta già rispondendo alla “domanda di legalità” che i territori esprimono.
Come Camera di commercio di Perugia abbiamo avviato da alcuni anni un percorso prima di tutto di trasparenza della nostra attività amministrativa, e verso i nostri fornitori, ma anche di sostegno e collaborazione verso quei soggetti, istituzionali e non, che sono impegnati nella lotta alla illegalità e nel contrasto alla criminalità organizzata.
Ne sono dimostrazione i Protocolli d’intesa sottoscritti con l’Associazione LIBERA Umbria e con la Prefettura di Perugia. Per contrastare insieme fenomeni di infiltrazione criminale nel tessuto economico ed imprenditoriale. Anche mettendo a disposizione le nostre informazioni – pubbliche – sulle imprese e i nostri studi di natura economico-statistica.

E’ anche per questo motivo che oggi premiamo imprese e lavoratori la cui storia si innesta su questo territorio. Donne e uomini che creano valore per questo territorio. Un valore “reale”, costruito nel solco della legalità.
Senza impresa, non si esce dalla crisi. Non se ne esce senza nuovi imprenditori. Ma, forse dobbiamo anche dire, non se ne esce senza imprenditori “nuovi”, e in grado di avere una “visione” del mondo e del loro ruolo nel mondo.
Imprenditori che sappiano dare sostanza al concetto di responsabilità – propria e della propria impresa. Responsabilità di indirizzo, di prospettiva, di speranza per il futuro.

L’Impresa deve costituire, singolarmente e in rete, un motore di sviluppo, di sostegno alle persone, all’economia, all’ambiente. In una sorta di circolarità: dall’impresa alla persona, e viceversa.
Il valore centrale della persona è imprescindibile. Nell’impresa, come nella società e nelle istituzioni. Abbiamo un disperato bisogno di uomini che, come fu per i nostri padri costituenti, sappiano mettere l’interesse dell’Italia prima di tutto.

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